art.pubblicato su il crotonese del 13/8/2016


I FINANZIAMENTI PER CAPO COLONNA

Il ‘luogo del cuore’ tra strade sconnesse e lampioni spenti

ANTONELLA POLICASTRESE

Mettiamo che Capo Colonna diventi “Luogo del cuore 2016” e che il Fai spenda soldi per la sua valorizzazione; aggiungiamo i 900 mila euro della legge di stabilità destinati agli interventi di restauro nel parco archeologico annunciati dal sottosegretario Bianchi. Un’altra milionata di euro deve essere spesa per l’efficientamento energetico del Museo sul Lacinio; qualche altro soldo potrebbe essere decurtato dai 61,7 milioni che servono a riportare alla luce l’Antica Kroton e investito sul promontorio sacro. Insomma, bei quattrini, anche se lontani dalle cifre impiegate per la realizzazione del Parco e del Museo inaugurati dieci anni addietro e che comunque lasciarono il sito archeologico crotonese allo stato attuale di incompiuta e senza che si ponesse la parola fine al regime di enfiteusi aggratis e interessi privati – presenti e futuri.

CAPO Colonna è davvero un bel luogo, dove del suo passato affiorano, semi sepolti nella terra, sparuti lembi. A visitarli di notte, quei luoghi, è come se si avvertisse nitido il respiro di un cavallo sepolto che nessuno aiuta a liberarsi dalla terribile morsa. Ma è affanno più che respiro, rantolo ancorché sussurro di millenaria esistenza in vita. In sostanza, Capo Colonna va scavata da cima a fondo e non un solo chiodo va piantato sul sacro suolo della storia; non un solo cucchiaio di cemento va versato da capo Alfiere a torre Nao. Il ricordo dell’estate 1987 non è poi così lontano, quando a scavare ci provarono la soprintendente Elena Lattanzi e il direttore, Roberto Spadea, dell’Ufficio scavi. Scavarono in un raggio di pochi metri tra la colonna e il muro di cinta di casa Albani e fu lì che venne alla luce il cosiddetto Edifico B e senza che l’iniziativa di scavo fosse stata preceduta da saggi e prospezioni; bastò l’osservazione a occhio nudo del suolo. Così prosegue il diario di quei giorni dell’estate 1987…

“CI TROVAVAMO al centro di un edificio del quale si cominciavano a percepire i muri, disposti a formare un lungo rettangolo (alla fine le dimensioni saranno mt 19,70 di lunghezza e mt 9,50 di larghezza…”. E nel perimetro interno di quei muri, la mattina del 14 luglio 1987, un collaboratore di Spadea aveva rinvenuto un oggetto luccicante e lo aveva coperto con un secchio; il racconto del direttore dell’Ufficio scavi così prosegue: “Erano circa le dieci del mattino… Enrico sollevò il secchio e apparve un brulichio di palline dorate. Capii che si trattava di uno straordinario gioiello… Al termine della ripulitura si sarebbe riconosciuto un diadema, coronato da un doppio serto di foglie, caratterizzato da una fascia rettangolare in cui era stata ricavata a stampo una treccia a rilievo…”.

SEMBRA di narrare avvenimenti di un altro pianeta, ma quella era Capo Colonna neppure trenta anni addietro. I crotonesi avevano smesso da tempo di mangiarsi l’anguria sotto ‘il masso’, perché una notte d’inverno era caduto, e persero l’abitudine di scolpire cuoricini con le proprie iniziali sulla ‘pelle’ della povera colonna, perché da quell’ora in poi fu posta seriamente sotto tutela e consolidata. Ora sul promontorio c’è di tutto e di più; si hanno mille idee; come fare la festa al povero faro, per esempio, che dal 1872 non ha mai smesso di accarezzare dolcemente col suo fascio di luce il mare che portò cotanta civiltà ed i resti di ciò che di essa rimane. Pure la strada che conduce a Capo Colonna fu costruita sul finire del 1800, ma rischia seriamente di precipitare sotto l’Irto se nessuno interverrà. Non basta; i lampioni che illuminavano il cammino dall’Irto sino a Capo Colonna, piazzati dalla Provincia, sono spenti da tempo: non ci sono i soldi per pagare la bolletta della luce che serve per dargli ragione e vita, e restano lì ad arrugginire, tristi e tentanti per i cacciatori di rame.

PERARRIVARCIin quel ‘luogo del cuore’ occorre una situazione di viabilità accettabile e quella attuale non lo è, soprattutto per i vistosi franamenti del manto stradale. L’illuminazione stradale su quel tratto di costa era qualcosa di bello, ben fatto e andrebbe ripristinata. Ora abbiamo in cassa, stando alle cifre annunciate dai politici, un montante finalizzato per Capo Colonna di quasi un due milioni di euro (compreso l’efficientamento energetico del Museo). Si tratta pur sempre di bruscolini rispetto al bisogno e forse sono a malapena sufficienti per mettere in sicurezza qualche tratto della strada che rischia di cadere giù. Ma sono già qualcosa. Se poi arrivassero altri soldi, non sarebbe male ripristinare l’illuminazione stradale; ne avrebbero, tra gli altri, il beneficio di non essere spiaccicati sull’asfalto del rettifilo finale, buio come il lutto, anche cani, gatti, ricci e volpi che popolano di notte, dai tempi di Pitagora, noto animalista, quella contrada.

ED È PROPRIO pensando a Pitagora e alla metempsicosi, a tutto quanto altro si vorrebbe fare in suo onore, che sarebbe opportuno evitare quella strage di animali tra l’Irto e Capo Colonna, onorarne la memoria partendo da quell’aneddoto di Senofane che lo riguarda: “Si dice che un giorno, passando vicino a qualcuno che maltrattava un cane, Pitagora, colmo di compassione, pronunciò queste parole: ‘smettila di colpirlo! La sua anima la sento, è quella di un amico che ho riconosciuto dal timbro della voce”.

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Capo Colonna: il vecchio faro, da circa 150 anni testimone silente delle notti sul Lacinio. Sotto, viabilità e illuminazione disastrate lungo i pendii dell’Irto