Giornali rabbiosi verso il Governo: ieri come oggi

Era dai tempi di Bettino Craxi  che il quotidiano “La Repubblica” non era così visceralmente e spudoratamente schierato contro un governo in carica  legittimato dal voto popolare e da accordi politici tra partiti del’arco costituzionale. Poi venne il tempo di “Mani pulite”; poi la prima repubblica cadde e si dissolse, ma per il leader del Partito socialista il massacro mediatico era durato tre anni esatti, tanto quanto rimase in carica come Presidente del Consiglio, cioè dal 1983 sino al 1986. La manifesta antipatia del quotidiano romano nei confronti di Bettino Craxi si protrasse ben oltre il mandato presidenziale. Puntualmente ritratto in camicia nera e feluca nelle vignette di Forattini su “La Repubblica” fini per essere paragonato a un redivivo Mussolini. Eppure il Partito socialista aveva fatto eleggere come Presidente della Repubblica quel mai dimenticato e universalmente amato Sandro Pertini, antifascista per eccellenza. Può darsi che l’astio di Eugenio Scalfari nei confronti del leader socialista traesse origine dai suoi rapporti controversi con il segretario del Partito comunista che all’epoca era Enrico Berlinguer e dal fatto che quest’ultimo e quel partito non fossero al governo. Rimasero fuori non molto, sino al 1976 anno in cui entrarono a far parte di un governo di larghe intese altrimenti conosciuto come “Il Governo della non sfiducia” frutto della strategia politica del cosiddetto “Compromesso storico”. Ma questa è storia, soprattutto un’altra storia che, in quanto tale, si ripete ai giorni nostri, quasi specularmente e non solo per via del mal gradimento da parte dei media, che è paro-paro a quello nei confronti del governo Lega-Cinque stelle. Persino le antipatie ad-personam ricalcano i modelli di quel periodo: Matteo Salvini è paragonato a Benito Mussolini, come Craxi, appunto. L’accanimento dei mercati è un male endemico nel nostro Paese; l’idiosincrasia del mondo finanziario emerso e sommerso verso le forme di democrazie volute dal Popolo italiano si è fatta rabbiosa. Non durerà a lungo il Governo Salvini-Di Maio; lo sanno anche le pietre e non per incapacità di quelle forze politiche che essi rappresentano; ma solo e soltanto perché gli italiani non saprebbero esprimere il proprio voto e quindi hanno bisogno di un maestro che glielo insegni. Quel maestro è il mercato. Ovviamente non quello dove si va a compare la frutta e la verdura, bensì quella bolgia di cravattari di piccolo medio, grosso e maxi taglio che si chiamano investitori e risparmiatori che si annidano ovunque, che ci prestano i soldi per pagare le pensioni e gli stipendi, dalle  Forze armate ai bidelli. Sicché l’Italia sarebbe un paese “trusciante” che morirebbe se non ci fosse chi ci presta i soldi; una famiglia sul lastrico, che campa della altrui generosità e magnanimità che quindi non può permettersi il lusso neppure di andare a votare e quindi tentare di liberarsi dei cravattari . Stanno davvero così le cose? Cioè che l’Italia è una compagnia scartellata di avanspettacolo dove l’impresario deve continuamente ripetere “bambole non c’è una lira !” ? Allora, al di là dei dialoghi sui massimi sistemi di cui si legge e si ascolta sui media, due domandine terra-terra è pur giusto farsele. La prima è questa: quanto incassa ogni mese e quanto spende lo Stato italiano ? E’ vero oppure no che dell’iva introitata dall’erario il 5 per cento ogni mese prende la via di Bruxelles ? Forse gli italiani non lo sanno, perché nessuno glielo ha mai detto e chi scrive non può affermarlo con certezza. Perché se l’Italia è una famiglia che produce reddito il ricorso ai cravattari troverebbe giustificazione solo nel momento in cui i soldi non bastassero, oppure al verificarsi di circostanze particolari (malattie, morti, matrimoni ecc.). Ecco, due risposte a due domande potrebbero cambiare addirittura il corso della politica e rasserenare gli animi di tutti gli italiani, ma esse non arrivano; una ragione dovrà pur esserci.

Antonella Policastrese