Le follie dell’imperatore

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C’era una volta un re, nominato per acclamazione e che amava governare servendosi di qualsiasi espediente. Il re amava la mondanità, non disdegnava affari di corte, si circondava di dinosauri che con i loro consigli dovevano suggerirgli strategie idonee per farsi acclamare  e amare dal popolo. Non badava a spese il monarca, e se c’erano elezioni in vista, regalava bonus ai poveri, si dava da fare per varare quanti più provvedimenti possibili a  favore del Paese che governava, salvo poi riprendersi con una mano ciò che con l’altra aveva regalato. I sudditi intanto si impoverivano, erano ridotti all’osso, ma bastava che il sovrano parlasse e tutti vedevano la luna nel pozzo. Febbrile la sua attività per incontrare imperatori che abitavano dall’altra parte del mondo. In quelle occasioni si muoveva con i suoi cortigiani, compreso il giullare di corte, mentre la stampa e le TV elogiavano ogni momento trascorso nell’incontro legale. Piatti da Dio, abiti scintillanti, scarpe firmate, sorrisi e divertimenti come solo i sovrani e gli imperatori sanno fare. Insomma erano tali eventi e la mondanità che facevano apparire il sovrano come l’uomo giusto  capace di far arricchire il Paese e, perché no, di dargli anche prosperità. Peccato che quando le luci dei riflettori si spegnevano, il povero continuava a elemosinare, il disoccupato a dormire sotto i ponti e i bambini a invidiare quelli ricchi che andavano nelle migliori scuole, al contrario loro, costretti a stare in aule decadenti con il pericolo che il soffitto potesse cadergli addosso. Ma il re era felice, specie quando parlava e sparava cavolate a ripetizione. Questo gli serviva perché i sudditi ignoranti apprezzavano quel modo di parlare, di fare e pensavano che un giorno anche loro avrebbero potuto uscire dal tunnel della fame. Peccato che tra poco sarebbe stata varata la carta dei diritti del Re e loro non avrebbero potuto nemmeno alzare lo sguardo sulla reggia sfarzosa, pena essere incarcerati e condannati.