l’emozione della parola

C’era un tempo in cui le parole avevano un senso. Un tempo in cui servivano per scrivere storie, essere testimonianza di come l’uomo si sia confrontato da sempre con il suo uso e lasciare traccia di se, del suo passato, dei  suoi poeti della propria cultura. La scrittura è una fonte inesauribile, una sorgente alla quale dissetarsi che tramite le parole trasforma i deserti dell’anima in campi rigogliosi, giardini fioriti entro cui immergersi per perdersi in tanta bellezza. Parole che parlano al cuore , facendolo battere, risvegliando sentimenti, emozioni, passioni che rischierebbero di  rimanere sepolte sotto una fitta  coltre di polvere che il tempo infittisce, regalandole all’oblio. Parole che diventano sentieri, pronte a guidare lo spirito verso luoghi sperduti o isole felici che risvegliano la fantasia che il vuoto riempie e l’orizzonte dipinge facendo assoparare il senso dell’eternità. Cosa saremmo stati noi senza poeti che servendosi solo della lira ci hanno regalato pagine di grande bellezza, rivissute attraverso le parole di chi, viaggiando per mare, immortalava l’importanza di sfidare l’ignoto, misurarsi con gli dei, conoscere mondi sconosciuti a comuni mortali e farci comprendere il senso dell’umana pietà, del ritorno in una Terra un tempo lasciata, il cui sogno era quello di approdare un giorno sfidando la sorte ed ogni ostacolo che sempre più lo allontanava da quelle amate sponde? Parole capaci di fare sognare o su un sogno camminare, per riappropriarsi di se stessi, esprimere gioia o pianto, felicità, odio, amore. Parole che un tempo avevano un senso per chi le ascoltava o per chi le leggeva, ma che oggi  si combinano in pochi ed unici concetti: sterili, aridi come il tempo che viviamo un tempo dove le passioni sembrano ibernate che non riescono a vivere ma che somigliano ad alberi malati da abbattere invece di curare. Ed in questo vagare senza meta e direzione nulla più ci emoziona perchè nessuna parola è in grado di diventare canto, musica, armonia. Le parole sempre più difficili da usare sono diventate ingombri di cui bisogna liberarsi. Incapaci di essere luce, più che il silenzio alimentano una nuova forma di deserto che ci trasforma in replicanti di un tempo che sembra aver perso il senso dell’eternità.