Migranti:le schiene bagnate del Mediterraneo

“Scendiamo dunque e confondiamo il loro linguaggio, perché l’uno non capisca la lingua dell’altro!»  Così il SIGNORE li disperse di là su tutta la faccia della terra ed essi cessarono di costruire la città.” (Genesi 11,1-9)

L’interpretazione minimale attribuita a questo episodio biblico (La torre di Babele) è che il Creatore dell’universo si arrabbiò moltissimo allorché gli uomini volevano concentrarsi in un solo angolo della terra innalzando una torre che lambisse la volta celeste. Ciò nonostante lo spazio infinito e la straordinaria varietà di specie dell’intero globo fossero stati concepiti affinché l’uomo li popolasse e vi convivesse. E dunque il Creatore disperse gli uomini, sovvertendo i loro piani, tra un polo e l’altro della terra. Ma questa è la Genesi, mentre l’origine dei flussi migratori, di ieri, di oggi, di sempre, della tendenza dei popoli a concentrarsi laddove si crede esistano migliori condizioni di vita, risiede nell’affanno eterno del predominio dell’uomo sui propri simili, dai tempi dei faraoni a quelli dell’opulenta Europa del secondo dopoguerra. L’erranza ha dunque coinvolto nei secoli tutti gli uomini, senza distinzione di razza e di colore della pelle e quindi il rifiuto, le paure ed i dubbi di chi si trova davanti la propria porta lo straniero, non può e non deve definirsi razzismo. Che gli stranieri arrivino dall’Africa o arrivassero dalla Svezia, le reazioni non sarebbero diverse da parte di coloro che sono definiti xenofobi, razzisti, populisti e via discorrendo. Del resto gli Italiani, il più grande, inatteso e traumatico  impatto con i migranti lo ebbero dinanzi a coloro che vivono sull’altra sponda dell’Adriatico

La storia non va dimenticata

L’8  agosto del 1991 ne arrivarono, su una sola nave, ventimila di immigrati e quello, a oggi, rimane il record assoluto di arrivi tutto d’un botto. Sulla “Vlora” o “nave di zucchero” (dal carico di canna da zucchero che era solito trasportare) così si chiamava il natante, stipati all’inverosimile attraccarono dunque al porto di Bari oltre due decine di migliaia di albanesi; non fu possibile stabilire il numero preciso di clandestini poiché in molti si gettarono in acqua prima che la nave fosse ancorata nel porto pugliese. Le scene, drammatiche e grottesche allo stesso momento, erano quelle di un formicaio in piena attività; le banchine e le stesse paratie della nave erano letteralmente ricoperte di gente in fuga; un frenetico agitarsi di esseri umani in preda a una smania di scappare, a un contagio di libertà che non aveva precedenti. Gli immigrati albanesi furono stipati dentro lo stadio “Vittoria” di Bari e in pochi giorni il Governo, del quale primo ministro era Giulio Andreotti e Claudio Martelli suo vice, organizzò le operazioni di rimpatrio che si protrassero per giorni, con un dispiegamento di mezzi mai visto, senza tralasciare il dispendio di energie per scovare, su tutto il territorio nazionale, gli albanesi che erano riusciti a diventare uccel di bosco. Gli italiani, all’epoca, a operazioni di rimpatrio ultimate, tirarono un sospiro di sollievo, ma lo sbarco in massa degli albanesi in Italia non era che l’esordio di un fenomeno, quello delle migrazioni di massa verso l’Europa, che ha assunto dimensioni bibliche e più volte raggiunto e superato i limiti dell’immaginabile, fintanto che non saranno imposti dei limiti e individuate delle misure adeguate e ad arginarlo. Ciò laddove si pensi  che gli Stati Uniti, durante  la “Grande migrazione” degli italiani che ebbe inizio nel 1861, furono costretti a imporre delle misure per arginare i flussi, con l’Emergency Quota Act del 1921 e l’Immigration Act del 1924. Resta da vedere con quali modalità venivano accolti i nostri connazionali ed a quali condizioni venivano fatti entrare nei paesi dove essi sbarcavano. Di sicuro il disbrigo di queste pratiche necessarie all’identificazione, al censimento dei migranti e successivamente alla loro collocazione attiva sul territorio, non divenne mai sistema. In altre parole, in America, Argentina, Brasile ecc.  non proliferarono centri di accoglienza, associazioni del volontariato, onlus, cooperative con la ragione sociale di accogliere e assistere i migranti, poiché essi, dopo un periodo di quarantena, divenivano automaticamente esseri umani in cerca di occupazione, che per fortuna trovavano, saltando la fase della schiavitù, evitando cioè la sorte capitata ai negri prelevati forzatamente dall’Africa ai tempi del cotone. E dunque, i nostri connazionali, (circa trenta milioni, di cui dieci mai più rientrati in patria) al loro sbarco venivano stipati nei magazzini dei porti in attesa che fossero espletate le verifiche sanitarie  e le fasi identificative, senza le quali non ci sarebbe stata possibilità alcuna di restare in quei paesi lontani,  pur dopo aver attraversato l’oceano. Quarantena dunque, ossia quaranta giorni rinchiusi in magazzini dove di solito si stipavano merci di ogni genere, con servizi igienici consistenti, se andava bene, in latrine di fortuna e lavabi tipo campi di concentramento. Superata questa fase, il futuro era però qualcosa di possibile e realizzabile; non serviva presidiare i carrelli dei supermercati, sfruttare le donne sui marciapiedi per sopravvivere, raccogliere pomodori quasi “aggratis” e dormire in case di cartone e di latta. Gli italiani avevano quella dignità di cittadinanza che ai centri di accoglienza, alle associazioni del volontariato, alle onlus, e alle cooperative con la ragione sociale di accogliere e assistere i migranti incute siffatto terrore, giacchè al venirne meno, crollerebbe un indotto di circa 60 mila addetti e ricavi miliardari che, per dirla con Carminati, fanno impallidire i proventi di altri traffici

Chi osa toccare gli interessi che ruotano intorno ai migranti, rischia di fare la fine di Savonarola

Detto questo: perché Matteo Salvini rischia di finire i suoi giorni in un penitenziario per aver trattenuto dei migranti clandestini per pochi giorni su una nave italiana dove, è noto, si mangia benissimo e si gode di tutti i confort ? Sta di fatto che sciagurato sarebbe l’italiano che pretendesse di arrivare a in Kenia o in una qualunque altra regione africana senza passaporto eludendo i controlli frontalieri. Perché l’Italia è spaccata in due (ma non in due metà esatte) sulla questione dei migranti; tra profeti dell’accoglienza e teorici dell’invasione, per quanto esattamente tutti sappiano che non ci potrà mai essere integrazione piena per queste “schiene bagnate” del Mediterraneo, laddove integrarsi significa innanzitutto inserirsi in un sistema produttivo attraverso il lavoro. Allora ecco che intanto a produrre reddito e ricavi ci pensa una pletora di individui dalla pelle bianca che taccia gli altri di razzismo, xenofobia, populismo ecc. In Italia si predica l’integrazione, senza combattere seriamente lo sfruttamento (che fa comodo tanto ai caporali di turno, quanto ai solidali cittadini quando hanno bisogno che qualcuno sturi i loro cessi o porti i cani fuori a pisciare); si profetizza l’accoglienza e non si danno agli stranieri gli strumenti  per raggiungere la propria indipendenza. Ma del resto nessuno può offrire quello che non si ha e di cui gli sventurati avrebbero realmente bisogno, ovvero il lavoro, una occupazione sicura e possibilmente duratura. La questione dei migranti è tornata prepotentemente al primo posto degli interessi nazionali allorché in Italia c’è un governo, eletto dal popolo sovrano, che sta tentando di sparigliare le carte sul tavolo e di cambiare le regole di una Unione Europea che di veramente in comune ha solo la moneta. Non è dato sapere quanto durerà l’alleanza governativa tra la Lega di Matteo Salvini e il Movimento 5 stelle; tantomeno è dato sapere se riusciranno a mettere in atto i loro programmi. Una cosa soltanto sembra però essere sicura: quella cui si trova di fronte il popolo italiano è una vera e grande rivoluzione culturale che darà comunque e inesorabilmente i suoi frutti. Per alcuni essi saranno amarissimi, per altri avranno il sapore della libertà e dell’indipendenza; quella da una Europa unita, nata male e finita peggio; addirittura quasi peggio di quella uscita dalla seconda guerra mondiale.

Antonella Policastrese