Miracolo a S. Anna

                                                               Quando l’8
agosto del 1991, arrivò nel porto di Bari la nave “Vlora” stracarica di 20 mila albanesi, a Crotone era ancora in ballo il destino di un’area dell’Aeronautica militare, di fronte l’aeroporto Sant’ Anna, che sarebbe poi divenuta un campo di accoglienza per profughi tra i più grandi d’Europa. Era stato deciso, nel 1988, che uno stormo di aerei F16 di stanza nella base spagnola di Torrjon, fosse trasferito in quella medesima area servita da una struttura aeroportuale per il traffico civile, che ben si prestava ad accogliere un insediamento militare di grossa portata e di rilevante valore strategico per i sistemi di difesa della Nato sul versante sud del Mediterraneo. All’epoca Crotone voleva volare, esattamente così come vuole oggi; le proteste inscenate dai cittadini  contro la dislocazione al Sant’ Anna dei top-gun americani, parvero sortire benefici effetti, ma in realtà esse coincisero con le decisioni del Congresso americano che tagliò i fondi per nuovi insediamenti militari in Europa e quindi degli F16 a Crotone. Così l’aeroporto civile rimase tale; alternando la propria esistenza tra chiusure e riaperture, scontando  il contraccolpo dei traffici aerei garantiti con continuità dallo scalo aereo di Lamezia. La vasta aera di fianco la struttura aeroportuale crotonese, oggi sede del centro di accoglienza gestito dalle Misericordie (da pochi giorni in regime commissariale) , continuò a essere un pezzo di terra recintato; una zona militare con limite invalicabile laddove dall’esterno si scorgevano delle baracche e un radar. Come si sia arrivati a trasformare quell’appezzamento di terreno nel sito dell’industria più fiorente dell’intera provincia di Crotone, per capirlo occorre fare qualche passo. Nel 1989, con la caduta del muro di Berlino, in Europa si aprirono vastissimi varchi per l’immigrazione clandestina. Già un anno dopo, a fronte dei reiterati, incessanti e cospicui arrivi di persone prive di visto di ingresso sul suolo italico, fu varata la cosiddetta “Legge Martelli” che prese il nome dal suo estensore, Claudio Martelli, all’epoca ministro degli Interni. Era prevista l’immediata espulsione per chiunque fosse stato colto nella flagranza della propria clandestinità. La qual cosa imponeva dei costi e degli specifici accordi con i paesi di provenienza dei clandestini, ma nessuna delle due cose si rivelò efficace per contrastare adeguatamente il fenomeno. Quando, quell’ 8 agosto del 1991 di clandestini provenienti dall’Albania ne arrivarono ben ventimila in un colpo solo, su una nave dove sarebbe stato impossibile trovare posto per un solo ago, l’Italia intera rimase sconvolta e addirittura terrorizzata.  Per contro erano felici gli sbarcati che, a loro modo di vedere le cose, avevano raggiunto la “Merica”. Quell’anno sembrò a tutti che si fosse raggiunto l’apice del fenomeno migratorio verso il nostro Paese; ma non era che l’inizio seppure la permanenza nella “Merica” per i nostri cugini albanesi ebbe una breve durata. In una settimana con aerei, pullman e treni furono rimpatriati quasi tutti, per gli effetti della legge Martelli. Molti furono però i clandestini che riuscirono a restare in Italia, andando a ingrossare le file di coloro che avevano tentato la sorte medesima. Questo fenomeno rivelò la inadeguatezza di quella legge; per via dei costi insostenibili a carico dello Stato e per l’altissimo numero di clandestini da scovare e riaccompagnare a casa propria. Tempo qualche anno (era il 1995) e fu varato un decreto che apportava delle modifiche alla Legge Martelli (il D.l. 489/95), meglio conosciuto come “decreto Dini”. In esso si prevedeva l’obbligo di dimora in Italia per tutti i clandestini in attesa di espulsione per consentire il perfezionamento delle intese con i paesi di origine. Non bastava ancora, e tre anni dopo fu varata una legge, poi confluita in un decreto legislativo sull’immigrazione (la Turco-Napolitano), la quale prevedeva che i clandestini, in attesa di espulsione, fossero ospitati presso apposite strutture denominate Cpt (centri di permanenza temporanei). Tali centri furono ricavati utilizzando beni demaniali in disuso, quali caserme dismesse e altre strutture non più funzionali ai bisogni dello Stato. L’area di pertinenza dell’Aeronautica militare di fianco all’aeroporto Sant’.Anna fu ritenuta idonea a funzionare da centro di permanenza temporanea. E fu così che sull’altura che separa il territorio di Isola Capo Rizzuto da quello di Crotone, sorse il “sol dell’avvenir”. Una nuova era industriale; nacque il comparto produttivo più fiorente dell’intera provincia; in grado di garantire occupazione a benessere a tanti giovani e famiglie, comunque al netto delle vicende  clerico-mafiose che il 15 maggio scorso ne hanno scosso le fondamenta. Avvenne dunque un miracolo; un “miracolo a Sant’Anna” . Adibire l’area di pertinenza dell’Aeronautica militare immediatamente dopo il tramonto delle ipotesi di sviluppo correlate alla dislocazione degli aerei F16, apparve dunque la soluzione ai tanti problemi di un territorio seppure non si avesse cognizione delle prospettive, della durata e dell’entità degli investimenti che sarebbero arrivati. Ma del resto nessuno in Italia poteva immaginare che da lì a qualche anno si sarebbero spalancate le porte dell’Africa e che il mondo si apprestava a vivere quella che Papa Francesco ha definito la terza guerra mondiale a pezzetti. Alla luce dei fatti del 15 maggio scorso, si è tornati a parlare, a livello planetario, di Isola Capo Rizzuto come terra di ‘ndrangheta e di potenti cosche e molti si domandano, soltanto adesso, come sia stato possibile aprire una rosticceria proprio in mezzo alla Savana. Ovvero come sia stato possibile investire centinaia di milioni di euro in un centro di accoglienza tra i più grandi d’Europa senza considerare che le “creature” di quella Savana ne avrebbero fiutato subito l’odore. Soprattutto quando la gestione e il controllo di quel centro, come di ogni altro dislocato lungo lo Stivale, sarebbero stati affidati a privati o organizzazioni del volontariato, ovvero a qualcosa che, fatte le dovute eccezioni, tantissimo somiglia a quel “mondo di mezzo” cui si riferiva Massimo Carminati.  Salvatore Buzzi, che di quel mondo di mezzo era braccio operativo diceva così: “Tu c’hai idea di quanto ci guadagno sugli immigrati? Il traffico di droga rende di meno”. Si provi dunque a immaginare quanto possano rendere le due cose insieme : emergenza immigrati e traffico di droga avvalorando talune ipotesi investigative secondo le quali le cosche di Isola Capo Rizzuto avevano, ed hanno sempre avuto, anche il traffico di droga quale pilastro del proprio business. E’ una realtà sull’orlo di una crisi di nervi quella “isolitana” dopo la deflagrazione del 15 maggio scorso, azionata a distanza dalla Procura della Repubblica di Catanzaro. Una realtà imprenditoriale di grandi dimensioni, quella messa insieme dal governatore delle Misericordie di Isola Capo Rizzuto, e che adesso dovrà andare incontro a una ristrutturazione aziendale senza precedenti. Ciò riguarda i protagonisti di questa triste storia che ha coinvolto il centro per rifugiati di Sant’Anna, ma quello che invece travolge pesantemente l’intero territorio provinciale è la necessità di dover affrontare una vera e propria riconversione industriale, poiché neppure l’emergenza immigrati, per quanto ancora lunga possa essere, non potrà più garantire un futuro a quei pochi anni di benessere e prosperità  che una congrua parte delle genti del territorio ha conosciuto e vissuto. Il “miracolo di Sant’Anna” ha raggiunto il suo picco massimo di efficacia e imboccato, al contempo, la traiettoria discendente, mentre altri se ne invocano presso la Medesima; come quello della ripresa dei voli…sull’aeroporto di Sant’Anna.

                                                                                                          Antonella Policastrese