Scifo: cosa ne sarà di un posto mitico, caro agli dei

 

Che il carico di marmi di una nave imperiale romana, naufragata nello specchio d’acqua di “Cala Cicala” tra Capocolonna e località Alfieri, giacesse sue quei fondali, era cosa nota già dagli anni cinquanta, ma soltanto adesso “si ritorna sul luogo del relitto”. Nel senso che saranno condotti approfonditi studi su quel carico, con approccio multidisciplinare, sino alla ricostruzione tridimensionale dell’imbarcazione e catalogazione dei reperti. Questo grazie all’inclusione del ritrovamento di “Cala Cicala” nell’ambito delle finalità e delle risorse del progetto “BlueMed”  che punta, fra l’altro, alla realizzazione di percorsi archeologici subacquei. Ed è il tipo di progettualità che ci si sarebbe aspettati per quei luoghi, ridestati definitivamente dal grande sonno della storia a causa della tristissima vicenda dell’ecomostro di Punta Scifo, a oggi sotto sequestro e, presumibilmente, ancora non definitivamente conclusa, stante i ricorsi pendenti e il rinvio a ottobre del processo per devastazione della macchia mediterranea demaniale al fine di collegare il “Marine park village” alla spiaggia sottostante.  Perché frattanto ancora un’altra estate è arrivata e ci si domanda che ne è di quei luoghi; se vi si possa accedere per immergersi nelle cristalline acque e soprattutto se il sentiero sia percorribile, sbarrato o meno. Basta andare a vedere e, quasi sicuramente, la spiaggia di Scifo sarà affollata come non mai quest’anno e quindi il grado di civiltà, di amore e di rispetto dei crotonesi per i propri luoghi del cuore sarà messo a dura prova. Perché ci sarà da verificare quanto vetro, quanta plastica e quanto rusco sarà abbandonato dai bagnanti tra gli scogli e lungo i sentieri di discesa a mare. Adesso, come mai prima, il mare di Scifo dovrebbe essere trattato come una fonte battesimale da chi va a bagnarsi in quelle acque, raramente sferzate dal vento e tiepide al punto da farle sembrare come lambite dalla lava di un vulcano. Per quanto sia strano accorgersi delle proprie ricchezze solo nel momento in cui vengono depredate, che il tratto di mare tra Capocolonna e Capo Alfiere fosse un angolo di paradiso lo si è sempre saputo, ma non si è fatto mai nulla affinché tale rimanesse. Lo avevano sempre saputo sicuramente anche i comandanti di quelle navi romane ivi naufragate con i loro carichi di marmi destinati, come è agevole intuire, alla costruzione di sontuose ville patrizie sulla costa. Ma non sarebbe peregrina neppure l’ipotesi che quei carichi fossero frutto di una spoliazione in loco che non era stato possibile portare a compimento per le insidie rocciose dei fondali. Erano i primi giorni di luglio del 1983 quando fu scoperto il carico d marmi di una nave lapidaria romana a pochi metri dalla spiaggia di Scifo; ma esso non era l’unico in quei luoghi laddove si ipotizza che i relitti siano almeno cinque, compreso quello di Cala Cicala oggi tornato alla ribalta grazie al Progetto “Blue Med” e un altro, sempre a Scifo, segnalato dal compianto Luigi Cantafora nel 1986.  Dunque: “più navi che “sazizzi” in quello specchio d’acqua. Ma il 1983 per Crotone fu anno di scoperte archeologiche e anche di avvistamenti. Fu difatti singolare il ritrovamento, da parte delle forze di polizia, di quel che restava del corredo funebre in una sepoltura risalente al V° secolo a.C. Una rimanenza comunque cospicua poiché furono recuperati cinque grosse anfore dipinte e perfettamente conservate; uno specchio in bronzo; scodelle in ferro; monete e utensili. In quell’occasione furono tratti in arresto anche i due giovani tombaroli che avevano profanato la tomba. Anche avvistamenti in quella calda estate del 1983, come quelli segnalati alla Capitaneria di porto di Crotone da alcuni praticanti di wind-surf: banchi di grossi pesci, presumibilmente pescecani che si aggiravano appena al largo della costa. Fu comunque allarme, subito rientrato però, poiché si ritenne che quei grossi pesci non fossero altro che  gli amici delfini i quali  questo lembo di paradiso non avevano mai smesso di frequentarlo dalla notte dei tempi. La loro gioiosità aveva ispirato dipinti e mosaici che decoravano i luoghi di un tempo di cui oggi, per fortuna, rimangono ancora tracce profonde. L’estate è  alle porte, mancano pochi giorni a che anche il calendario ne decreti ufficialmente l’entrata, seppure di intrepidi se ne vedono già da un paio di settimana lungo il litorale cittadino. Una volta, alla domanda se il mare fosse pulito o meno già ai primi di giugno, si rispondeva che tutto era ok, eccetto che l’affiorare a pelo d’acqua del “sivo dei primi bagni”, come se i crotonesi aspettassero la stagione estiva, con un tuffo in mare, per liberarsi dal lordume tenuto addosso durante l’inverno. Ovviamente era un modo di dire, che contraddistingueva, anche questo, il proverbiale cattivissimo sarcasmo dei crotonesi. Ma sarà durissima per l’intera città ed il suo territorio questa estate del 2017; con la ferrovia chiusa per restauri e l’aeroporto chiuso e finto morto, come Pulcinella, per troppi debiti, laddove solo la morte è finzione, oppure “coma indotto” che dir si voglia. I debiti invece sono assolutamente veri. Una previsione a lume di naso è che se anche i villeggianti campani, che affollano, nel senso pieno del termine, le strutture ricettive della costa, non caleranno a frotte come sempre, a fine stagione sarà l’intera provincia a dover portare i libri in tribunale. Qualcuno comincia a non crederci davvero più nello sviluppo turistico, non a caso nessuno si è accorto oppure ha detto niente della nave da crociera approdata lunedì scorso nel porto di Crotone. Inequivocabili segni di stanchezza; la città sta affrontando giorno per giorno il suo presente come un mestiere; il più amaro e difficile dei mestieri: quello di vivere.

 

Antonella Policastrese