Sindaci coraggiosi e conigli muscolosi

 

 

 

Quanto coraggio, che alto grado di civiltà e che enorme carica umanitaria occorre per schierarsi contro il DL Sicurezza “Salvini” . Occorre avere le palle per mettersi contro questa trovata del Governo Conte-Salvini-Di Maio in materia di regolamentazione delle politiche di accoglienza e integrazione degli immigrati. Sicché una pletora si sindaci di città grandi e piccole, da Milano a Palermo, da Napoli a Crotone, le palle le hanno tirate fuori e addirittura alcuni di questi sindaci hanno annunciato disobbedienza civile a oltranza se il Dl Sicurezza non verrà ritirato o modificato. Ma quanto sarebbe stato bello e condivisibile se questo irrefrenabile slancio di democrazia, libertà e solidarietà dimostrato dai primi cittadini, da alcuni governatori di regione, ovvero da massimi esponenti di enti locali si fosse registrato allorché è stato introdotto in Italia il famigerato “Patto di stabilità interno” . Un marchingegno infernale servitoci dalla Unione Europea, come una mela della strega di Biancaneve, nell’ormai lontano 1999 con l’adozione della moneta unica. Da allora a oggi il solo e unico “Principe” che abbia tentato di levare il boccone fatale dalla trachea di sindaci, presidenti di regioni e province è stato nientemeno che Romano Prodi che per l’Unione Europea si sarebbe fatto scuoiare vivo come San Bartolomeo. Insomma il “Mortadella” si pronunciò contro l’eccessiva rigidità del Patto di Stabilità imposto dalla UE. Intervennero alcune modifiche, ma nel senso peggiorativo. Sindaci, presidenti di provincia e governatori di regione nel corso degli anni   dall’entrata in vigore di quella trappola infernale a oggi, hanno solo guaito e neppure tanto nonostante la gravissima e irreversibile entità del danno arrecato alla vita degli enti locali, ai cittadini e allo stesso ordinamento democratico della Repubblica Italiana. Nessuno di essi ha mai dichiarato apertamente disobbedienza e disapprovazione come accade adesso per il “Decreto sicurezza di “Salvini”. Posto che in Italia al cosiddetto “terzo settore” gli rode e anche parecchio dover mettere mano a una “riconversione industriale” non più basata sulla accoglienza e assistenza dei migranti (l’integrazione di quei milioni di poveri cristi che giungono da noi è cosa della quale il Terzo settore non può che lavarsene le mani) l’aver ripiegato sul quella “fabbrica dell’infelicità” come comparto produttivo discende direttamente  dalla entrata in vigore del Patto di Stabilità interno contro il quale sindaci, presidenti di provincia e governatori di regione avrebbero dovuto innalzare barricate. Senza quella maledizione piombata sull’ Italia avrebbe davvero avuto un senso far arrivare migranti con la prospettiva di integrarli con il lavoro. Ma questo, all’Italia obbediente ai dettami europei, non riesce neppure con i suoi cittadini. Fermo restando che la “rivolta” dei sindaci buonisti contro il decreto Salvini sta assumendo toni da tragicommedia, giova leggere un riassunto degli effetti del Patto di stabilità ancora funzionante a pieno regime; potrebbe servire a farsi un’idea di quanto ci stiamo allontanando dalla realtà.

Il Patto di stabilità interno fissa le regole cui devono attenersi gli Enti Locali per concorrere al raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica fissati dalle Leggi finanziarie (ora Leggi di stabilità), in relazione ai parametri di deficit e debito pubblico che derivano dagli impegni assunti a livello europeo…

In un primo periodo (1999-2005) il patto di stabilità interno ha avuto come obiettivo primario la riduzione della spesa per il personale: si è così passati dall’ingresso di un nuovo lavoratore ogni due che andavano in pensione, al rapporto 1 a 5, fino al definitivo blocco del turn over…

Secondo i dati Istat, dal 2001 al 2011, i lavoratori pubblici passano da 3.209.125 a 2.840.845; la contrazione maggiore si ha negli enti locali dove gli addetti passano da 478.805 a 428.218, con una riduzione del 10,6%. In particolare, in tutto il settore pubblico si registra una contrazione significativa del personale in settori cruciali nel sistema di welfare italiano: istruzione (-130.000), sanità/assistenza sociale (-65.000)…

In una seconda fase (2006-2010) l’obiettivo del patto di stabilità interno si allarga verso la drastica riduzione delle possibilità di investimento da parte degli enti locali. Uno studio di IFEL (Fondazione dell’ANCI) sulla situazione finanziaria dei Comuni, dimostra come nel triennio 2008-2010 il saldo finanziario medio nazionale dei Comuni sia stato di 26,5 euro procapite, realizzato attraverso la concomitante riduzione delle entrate (-12,5 euro procapite) e delle spese complessive (-39 euro procapite). Quest’ultimo risultato, peraltro, deriva da  una crescita delle spese correnti (+39 euro) e da una riduzione delle spese in conto capitale (-78 euro). Detto in altri termini, in quel triennio i Comuni hanno sostanzialmente bloccato gli investimenti e ritardato i pagamenti degli stessi…

Agli inizi del 2013 i Comuni italiani avevano 9 miliardi di euro di disponibilità liquide e 9 miliardi di debiti verso le imprese. La logica avrebbe voluto che questi ultimi fossero saldati, ma molti enti non hanno potuto farlo perché il patto di stabilità interno glielo ha impedito.

Per chi volesse leggere il documento per intero ecco il relativo link: https://www.italia.attac.org/attachments/article/10328/SK4%20P~.pdf