Terremoto: Adesso arriva il bello

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Purtroppo è andata così: un altro terribile terremoto si è abbattuto sugli italiani, e ancora una volta sulle popolazioni del centro-nord, a distanza di appena sette anni da quello dell’Aquila. Il numero di vittime accertate, tra quelle del capoluogo abruzzese e le altre di Amatrice e dintorni, tende purtroppo ad equivalersi; in Abruzzo furono 309, per il terremoto del centro Italia sono morte 291 persone. Paesi distrutti, ovviamente; prospettive di ricostruzione al momento neppure ipotizzabili; ricorso a tendopoli e sistemazioni provvisorie della popolazione superstite, ancora nella fase di studio. Grande solidarietà degli italiani e segni di vicinanza da ogni parte del mondo; donazioni, devoluzioni e iniziative benefiche pro- terremotati in itinere ovunque su tutto il territorio nazionale. Ma la cronaca sta per lasciare irrimediabilmente il posto al dopo terremoto che, per quanto possibile, al netto dalla tragica contabilità di vite umane perdute per sempre, reca in se, come sempre, l’incubo della inadeguatezza di un’Italia che non ha mai imparato nulla da cotante durissime e reiterate prove. Se possibile, questo dopo terremoto dell’Italia centrale si annuncia ancora più terribile. Il Governo avrebbe prelevato dalla cassaforte i primi cinquanta milioni di euro da spendere per le zone colpite dal sisma. Ma stanno davvero così le cose ? Velocemente, e solo di sguincio, una autorevole esponente della maggioranza governativa, durante una trasmissione televisiva condotta da Maurizio Belpietro, in merito a quei primi 50 milioni s’è lasciata sfuggire parole che pesano molto più di quei muri crollati sui corpi degli abitanti di Amatrice; Accumuli e Arquata. Ebbene, una parte di quel gruzzolo, appena prelevata dalle casse statali, sarebbe stata impiegata subito per far fronte al minore gettito fiscale che deriva e deriverà dal mancato apporto all’erario dei cittadini che sono morti e delle attività produttive che si sono dissolte sotto le macerie. Come dire: la prima cosa che occorre mettere in sicurezza, secondo il Governo, è il bilancio dello Stato; la prevenzione del deficit è il bisogno primario; subito dopo vengono quelli delle popolazioni colpite dal sisma. Sicché pochi spiccioli rimarranno da spendere per quegli sventurati, se da ogni fondo pubblico, destinato alla ricostruzione,  sarà decurtata la parte che occorre alla Stato per mantenere i conti in ordine, per non sforare patti di stabilità, per non incorrere in sanzioni europee a causa di squilibri di bilancio. Poniamo che in una famiglia muoia un componente che contribuiva al sostentamento del nucleo; il dolore è incommensurabile per la tragica perdita, tutto il resto non esiste più, la vita stessa, quella di tutti i superstiti, cessa di avere un senso che non sarà mai più possibile ritrovare. Questo è il concetto di famiglia e, per estensione concettuale, dovrebbe essere quello di nazione. Ma le cose, soprattutto da quando quella stessa nazione ha ceduto la propria sovranità, nel momento in cui obbedisce a leggi che rispondono a parametri opposti a quelli della sussidiarietà ,  sembrano essere addirittura capovolte. Perché lo stato che interviene pensando prima ai mancati introiti e successivamente alla perdita di vite umane, partecipando ai solenni funerali, suggerisce ben altra immagine. Un immagine che è quella di un capo famiglia che piange durante la veglia funebre e poi in altra stanza va a strapparsi faccia e capelli per i soldi che verranno meno al medesimo nucleo. Perché i morti son morti; i terremoti non fanno sconti a nessuno, scoperchiano le case degli uomini, ma fanno scoprire le profonde incapacità dei superstiti che dovrebbero governare ciò che resta del disastro. Solidarietà non pelosa è dunque giunta da parte degli italiani ai propri connazionali colpiti dal sisma; tuttavia l’incubo del dopo incombe, fa paura quanto e più del terremoto. Ci sarebbero tuttavia delle strade da percorrere per diradare quel senso di paura e di terrore che pervade questi ultimi terremotati. I soldi per ricostruire le città dateli entro dieci giorni direttamente ai cittadini che sono rimasti senza casa; gli interventi di ripristino delle opere di pubblica utilità fateli gestire al genio militare. Per fare sì che i soldi possano bastare, esistono dei rimedi efficaci, come quello di trattenere un mese di stipendio a tutti i parlamentari ed ai membri dei Governo,questa operazione una-tantum porterebbe alla causa  non meno di 15 milioni di euro. Stesso trattamento per i boiardi di stato che sono proliferati in questi ultimi anni. In luogo dello stipendio a costoro andrebbe però riconosciuto un carnet di buoni pasto dal valore di 7 euro a tagliando, come per i comuni mortali che lavorano. Eppoi la Rai sta per incassare oltre 500 milioni di euro per il canone estorto con la bolletta elettrica; diamogli anche quelli ai terremotati. E se proprio vogliamo risolvere il problema in maniera tombale vendiamola la Rai e ne avanzeranno, di quattrini, per altre esigenze della collettività, che non sono poche e meno drammatiche. Però l’elenco di cose da fare per aiutare concretamente i terremotati del centro Italia è abbastanza lungo e purtroppo ha inizio laddove ingente è la spesa affrontata per l’accoglienza e la solidarietà nei confronti degli immigrati. Si dice che c’è bisogno dei soldi della UE per sostenere le emergenze, le varie esigenze e addirittura la ripresa della nostra Nazione; mai nulla ci fu di più falso di questo dogma, che sembra essere uno slogan pubblicitario. Perché sappiamo bene che il rapporto dare- avere tra l’Italia e l’Unione Europea è mediamente di 15 a 10; ovvero contribuiamo per 15 miliardi e ne riceviamo indietro (sotto forma di fondi strutturali, aiuti e incentivi) soltanto 10. Soldi nostri dunque, soldi degli italiani. Un simile peso, costituito da cotante macerie, generato da quel terremoto politico che si chiama trattati di Lisbona e di Maastricht sarebbe ora di scrollarcelo di dosso; non fosse altro che per onorare degnamente i nostri morti; quelli che sono morti nel terremoto del 24 agosto e gli altri dei terremoti che verranno.

Antonella Policastrese