Niccolò Ciatti, un ragazzo di Scandicci, ventidue anni appena, parte in vacanza a Lloret de Mar e viene pestato a morte in una discoteca da tre coetanei ceceni. Sembra un film dell’orrore, una sceneggiatura purtroppo reale, che nessun regista avrebbe potuto narrare così sapientemente. La morte raggiunge Niccolo alle tre del mattino, mentre si diverte e scherza con gli amici. Chi avrebbe mai potuto pensare ad un epilogo simile? Giovani che con rabbia si buttano su quel corpo, per assestargli pedate in faccia e in testa tra lo sbigottimento degli astanti e senza che nessuno intervenga per porre fine a quel linciaggio. La notizia è proprio questa: veder morire un coetaneo, senza che nessuno muova un dito. Si fa prima a filmare l’orrore in diretta, piuttosto che mettere al muro e isolare gli altri tre ragazzi. Non ci sono parole. Come è possibile che ci si sia ridotti a questo? Robot, schiavi di una tecnologia devastante, facciamo prima ad azionare un telefonino piuttosto che scippare dalle grinfie di tre energumeni Niccolò che lotta con la morte fino all’ultimo, ma che non ce la fa a sopravvivere. Altro che eroi. Siamo diventati cinici, indifferenti e guardiamo gli altri morire invece che provare a fare qualcosa. Archiviati i grandi ideali, trasformati in replicanti, pensiamo che vivere sia soltanto servirsi di un cellulare per connettersi con il mondo, ma siamo sempre più soli, sempre più in balia delle nostre paure da affrontare nella più totale solitudine, anche quando si sta insieme e non ci si rende conto che tante persone sono una forza capace di sventare situazioni simili e davvero paradossali. Di tutta questa tragica storia rimane lo strazio dei genitori e la morte di un giovane che aveva la vita davanti a sè. Qualcuno ha fatto prima a tagliarlo quel filo della giovane esistenza di Niccolo che, felice e spensierato, era partito per quella vacanza e chissà quante cose avrebbe raccontato al suo ritorno. Un ritorno dentro una bara purtroppo, e quel corpo inerme adesso racconta moltissime cose, interpella le nostre coscienze. Non siamo più nemmeno buoni educatori, non si riesce più a parlare con chi ci sta intorno e vittime di questo stato di cose, siamo abulici, incapaci di uscire allo scoperto per esprimere disappunto o, meglio ancora, tentare di salvare una vita
A questo punto che senso ha impegnarsi per salvare vite in mare, dichiarando una solidarietà di facciata se quando ci troviamo in situazioni limite non riusciamo nemmeno a strappare alla morte un ragazzo?
Viviamo in un tempo che si muove seguendo la scia dei soldi e che misura le capacità di ognuno monetarizzando quanto pesiamo e quanto valiamo.
Triste che insieme, in una discoteca, in un giorno d’agosto nessuno abbia mosso un dito per scippare da sotto le grinfie di tre energumeni un ragazzo che voleva vivere.