Regione Calabria: ed ora che succederà?

 

 

La prematura scomparsa di Jole Santelli, che sicuramente è l’ultimo personaggio politico espresso da uno schieramento ben definito per la massima carica istituzionale della Calabria, lascia dubbi irrisolti, pesanti interrogativi e inquietanti previsioni. L’azione amministrativa della defunta Presidente della Regione è stato come un effimero fuoco. Per dirla con le frasi di un celebre film, la sua luce è arsa con il doppio del proprio splendore e la candela della sua vita si è consumata da tutte e due le parti. E’ pur vero che bastano nove mesi per generare una nuova vita, ma non basterebbero nove secoli per raddrizzare la chiglia di una nave arenata o che, nella migliore delle ipotesi, non sembra essere stata costruita per prendere il mare, come quella dei Feaci. Lei ha fatto quello che poteva, investita, come tutti gli altri suoi colleghi presidenti di regione, dai flutti giganteschi della pandemia. Ha detto la sua, ha fatto parlare di se, ha precorso i tempi della disobbedienza o del disallineamento al potere centrale, ma alla fine, oltre l’esempio di coraggio e le intenzioni di ammodernamento, è rimasto poco o nulla della sua azione amministrativa e non poteva andare diversamente quando uno poi muore. Giusto il tempo di morire e subito si apre la battaglia per la successione, ma si dice che i conclavi politici, ossia la campagna elettorale per le regionali, abbia conosciuto solo brevi pause in virtù dei mali che affliggevano l’eletta e che erano a conoscenza di tutti. La Santelli era espressione del centro-destra, di uno schieramento politico ben definito, forse l’unico e l’ultimo rimasto in Italia e già soltanto per questo, da guardare con ammirazione e rispetto. Dall’avvento del Movimento 5 stelle in poi, dall’auto-proclamazione di Beppe Grillo come salvatore della patria, passando per Le Sardine, in Italia, nelle regioni e nei comuni, anche in quelli più piccoli, si respira aria di peronismo, c’è voglia di rinnovamento e di ottenere il meglio che si può. Ma si fa presto a dimenticare che spesso il meglio è nemico del bene, ovvero della democrazia. Il popolo, arringato da improvvisati tribuni e strilloni dotati di microfoni, sembra avere intrapreso il sentiero dei descamisados argentini. Il popolo ci crede, ma la sua memoria è scarsa; per esempio attribuisce, invogliato a crederlo da tromboni ex comunisti ed ex democristiani, la distruzione del sistema sanitario alla burocrazia, alle ruberie verificatesi nel passato, ignorando che l’Unione Europea ha imposto all’Italia  tagli ventennali per circa 75 miliardi di euro. Oggi la UE intende rimediare, dandoci in prestito 35 miliardi; perché di prestito si tratta, non già di restituzione legittima di una parte del maltolto. Ancora più che il passato recente, è il futuro che desta preoccupazione, alla luce degli eventi, delle tendenze e delle convinzioni pseudo-politiche della gente comune, dei descamisados soprattutto. Oggi sono in grado di eleggere propri rappresentanti e altri ancora ne vorranno eleggere, alla Presidenza della Regione Calabria, per l’appunto. Siamo nell’onda lunga del neo-peronismo e tutto può accadere anche perché il tempo è davvero troppo poco a che gli schieramenti politici tradizionali possano organizzarsi; questo vale per il centro-sinistra. All’orizzonte si profilano ombre inquietanti di personaggi in cerca d’autore, in una cornice di velleitarismo diffuso e sempre più pericoloso perché fine a se stesso, diretto discendente dei partiti ad personam e oggi più elegantemente definito come “civismo”. Il sogno ricorrente di un nano del circo è sempre stato quello di una fuga d’amore con la donna cannone; nella realtà invece sono sempre di più coloro che aspirano a diventare sindaci, presidenti e parlamentari per fare gli interessi del popolo. La storia, soprattutto quella recentissima, insegna invece che il popolo rimane in mezzo al guado senza neppure l’illusione di stare  attraversando il Mar Rosso, come pure qualcuno gli aveva fatto  credere.