Saffioti eroe del nostro tempo

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Gratis per l’interesse pubblico, di sicuro Gaetano Saffioti ha lavorato almeno una volta nel corso della sua carriera di imprenditore. Fu nell’estate del 2011, quando c’era da demolire un immobile abusivo del clan dei Pesce, al culmine di provvedimenti che avevano preso avvio otto anni prima. Quando venne il momento di procedere, nessuna delle ditte invitate accettò l’incarico; poiché quello era pur sempre un immobile della più potente famiglia mafiosa della Piana di Gioa Tauro. La paura di future ritorsioni prevalse sul bisogno di lavorare. Dinanzi tale situazione si valutò che i tempi per far intervenire lo Stato con i propri mezzi si sarebbero allungati. – Chiediamo la disponibilità a svolgere il lavoro alla ditta di Gaetano Saffioti –  fu ciò che venne in mente al prefetto di Reggio Calabria. E Gaetano Saffioti non si fece pregare, e nemmeno pagare, perché procedette alla demolizione dell’immobile gratuitamente. Perché Gaetano Saffioti, nato a Palmi nel 1961, di conti in sospeso con le n’drine della Piana ne ha in prima persona da quando ha messo su le sue imprese di movimento terra, cioè dal 1981. Ma nel 2002 egli denunciò ricatti e taglieggiamenti, puntando il dito contro i suoi carnefici. Inizia così, dunque, la storia pubblica di un uomo fuori dal comune, di uno dei pochissimi imprenditori calabresi che hanno deciso di non avere padroni e tantomeno di piegarsi alla voracità di quel socio obbligatorio di maggioranza con il quale il mondo dell’imprenditoria calabrese è costretto a dividere i propri utili. Il nome di Gaetano Saffioti è tornato agli onori della cronaca per via di una sua intervista rilasciata questa estate al giornale della Cei, “L’avvenire”. Non mi fanno lavorare neanche gratis, aveva dichiarato l’imprenditore di Palmi. Egli si riferiva alla realizzazione di un centro di accoglienza per immigrati in costruzione a San Ferdinando in provincia di Reggio. Quelle dichiarazioni sortirono un effetto mediatico devastante, poiché Saffioti è ritenuto testimone di giustizia e vive sotto scorta da circa venti anni. Nella sostanza, invitato alle gare d’appalto relative alla costruzione del centro d’accoglienza per immigrati e nello specifico a formulare offerta per la fornitura, trasporto e messa in opera di materiali inerti, ghiaia e misto naturale, egli aveva proposto la sola fornitura di misto naturale gratuitamente, escluso il trasporto, e il committente avrebbe dovuto mandare dei propri mezzi per prelevarlo. Per l’amministrazione comunale di San Ferdinando, sciolta per infiltrazioni mafiose e retta da commissari prefettizi, quel trasporto implicava l’indizione di apposita gara e un ulteriore ritardo per la realizzazione dell’opera;cosa che fu fatta e successivamente ritenuta gravosa. L’amministrazione ritenne a quel punto di riformulare l’offerta complessiva (fornitura di sola ghiaia aumentandone il quantitativo e relativo trasporto) alla ditta di Gaetano Saffioti, revocando allo stesso tempo l’avvenuta aggiudicazione ad altro imprenditore del solo noleggio dei mezzi di trasporto. L’imprenditore di Palmi a quel punto rinunciò sia all’appalto iniziale, che si era aggiudicato, che alla nuova proposta e uscì dalla scena del costruendo centro per immigrati, irrompendo, con quelle dichiarazioni rilasciate a “L’Avvenire”, in quella del circo mediatico. Tuttavia, Gaetano Saffioti, oltre ad essere uno degli imprenditori calabresi più coriacei e refrattari alla pervasività mafiosa; è un uomo che ha sempre voluto e vorrebbe distinguersi per le proprie qualità imprenditoriali e per le capacità professionali. Ciò in una terra come la Calabria, dove il voler provare quelle cose, oltre ogni luogo comune, si disputa sul confine tra richieste di assistenzialismo ed esternazioni di pietismo, fa brillare di luce propria colui che in tale disputa si cimenta con coraggio, armato solo delle proprie qualità e capacità. Ma è difficile uscirne vittoriosi, ancora più difficile di infilzare con la benna di un enorme escavatore tre olive disposte in un piatto e portarsele alla bocca per mangiarle. Era il 1992, durante la trasmissione televisiva “Scommettiamo che”; forse uno dei momenti più belli che Gaetano Saffioti abbia vissuto. Ma egli adesso vive blindato, guarda i giorni nascere e morire da dietro vetri a prova di proiettile, mentre i suoi mezzi nella rimessa sono come dei leoni in gabbia. La vita di Gaetano Saffioti è fatta di venti passi, quelli che servono per andare  dall’ufficio alla sua casa. Perché la normalità finisce con il trasformarsi in un nodo scorsoio per chi rompe le maglie di una rete omertosa. Saffioti è colpevole di aver creduto e di credere nel cambiamento, tanto da non rimanere in silenzio e anzi di suonare forte le campane della liberazione dalla ndrangheta. Per tutti quelli che sul silenzio confidano per edificare i loro imperi, diversificando le proprie attività e reinvestendo in forme lecite il velenoso frutto del crimine, altri ce ne sono di uomini che decidono di parlare; ed è quello un grido che fa la differenza, che fa distinguere l’agire degli esseri umani dall’ululare dei lupi; gli eroi dai pavidi.. La Calabria ha i suoi eroi, anche se il più delle volte,sconosciuti.